Claudin-5 è un fattore modificante la schizofrenia
ROBERTO COLONNA & GIOVANNA REZZONI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 21 ottobre 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il
cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La schizofrenia è attualmente considerata un disturbo neuroevolutivo
e, con i criteri correnti di diagnosi, si stima che possa arrivare ad
interessare circa l’1% della popolazione[1]. I
lenti e faticosi progressi compiuti nella conoscenza delle basi cerebrali di
quella che in clinica psichiatrica è tradizionalmente considerata la forma più
grave di disturbo psicotico, hanno progressivamente spostato l’attenzione di
psichiatri e psicopatologi dalle manifestazioni cliniche caratterizzanti le
varie forme, alle alterazioni cerebrali strutturali e funzionali, dal livello
molecolare a quello delle connessioni e della connettività funzionale. Il ruolo
della genetica, sebbene notoriamente importante per la concordanza del 60% fra
gemelli monozigoti, è da sempre difficile da comprendere e schematizzare,
perché l’ereditarietà non segue una logica mendeliana e non può essere
attribuita ad un singolo gene o ad una particolare anomalia genetica.
L’associazione del fenotipo
schizofrenico con un notevole numero di varianti geniche localizzate su
cromosomi diversi e con potere di influenza variabile, suggerisce una genetica
complessa in cui molti alleli di effetto limitato interagiscono causando condizioni
alla base delle gravi alterazioni neurofunzionali dell’adulto. Gli studi di
associazione hanno indicato, quali fattori di rischio, geni implicati nello
sviluppo del cervello, nella neurotrasmissione e nella formazione della guaina
mielinica. Le analisi GWAS (genome-wide association study), che per
definizione non sono guidate da una specifica ipotesi, non hanno fornito
conferma dell’ipotetico ruolo di fattori di rischio per molti geni individuati
con la metodologia tradizionale. Tali studi hanno rilevato un eccesso di CNV (copy number variants) associate con accresciuto rischio di
schizofrenia riguardanti i cromosomi 1q, 2p, 15q e 22q. Si ricorda che si
riconosce una CNV quando il numero di copie di una regione del DNA dei probandi
differisce nettamente da quelle dei controlli, che rappresentano il riferimento
normale.
Negli anni recenti,
l’interesse genetico si è andato spostando sempre più dai geni codificanti
proteine implicate nei meccanismi di neurotrasmissione, a quelli specificanti
proteine strutturali, implicate in processi cellulari di base, o nella
fisiologia della mielina, del flusso ematico cerebrale e della barriera emato-encefalica
(BEE).
Alcuni gruppi di ricerca hanno
rilevato un’associazione nominale molto debole della schizofrenia con la
proteina della giunzione serrata claudin-5[2], che
ha attratto l’interesse di genetisti di istituti americani e britannici. La
ragione di tale attenzione sperimentale è facile da comprendere. Claudin-5 è
espressa nelle cellule endoteliali che prendono parte alla costituzione della
barriera emato-encefalica (BEE), una struttura che può influenzare
indirettamente tutte le funzioni psichiche. Le persone affette da sindrome da delezione 22q11 (22q11 DS)
presentano aploinsufficienza per il gene di claudin-5 e, nel 30% dei casi, sono
affette da schizofrenia[3].
Su questa base Greene e
colleghi hanno condotto uno studio per verificare se l’alterazione della BEE
sia un fattore modificante lo sviluppo della psicosi schizofrenica.
(Greene C., et al. Dose-dependent
expression of claudin-5 is a modifying factor in schizophrenia. Molecular Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.1038/mp.2017.156.,
2017).
Degli undici
istituti di provenienza indicati si riportano
i seguenti: Department of
Genetics, Smurfit Institute of Genetics, Lincoln Place Gate, Trinity College
Dublin, Dublin (Irlanda); Division of Renal Diseases,
Department of Internal Medicine, Washington University School of Medicine, St
Louis, MO (USA); Department of Neurosurgery, Stanford University School of
Medicine, Stanford, California (USA); Trinity College Institute of
Neuroscience, Trinity College Dublin, Dublin (Irlanda);
Department of Cell Biology, University of Connecticut Health Center,
Farmington, CT (USA); Department of Psychiatry, Royal College of Surgeons in
Ireland, Dublin (Irlanda).
A scopo introduttivo si
riportano alcuni brani tratti da un nostro recente articolo di recensione:
“Dopo 40 anni di dominio dell’ipotesi dopaminergica della schizofrenia, si è compreso che tutti i principali sistemi neurotrasmissivi del cervello sono implicati nella genesi della psicopatologia, e molti studi sono stati condotti, ad esempio, sul contributo dell’ipofunzione dei recettori NMDA del glutammato all’endofenotipo della schizofrenia, sulle alterazioni delle subunità dei recettori del GABA negli psicotici, sulle anomalie molecolari del sistema colinergico e sulla riduzione di molecole di trasduzione del segnale intracellulare. Ma, più di recente, l’interesse prevalente di molti gruppi di ricerca che indagano le basi neurobiologiche dei disturbi schizofrenici è stato diretto verso il ruolo della glia e verso i deficit di proteine di fondamentale importanza per strutture e funzioni dei neuroni cerebrali.
A questo vasto orizzonte di
ricerca si è recentemente aggiunta una traccia sperimentale suggerita da
osservazioni cliniche ed epidemiologiche che si possono così sintetizzare: le
persone affette da schizofrenia presentano un più elevato rischio di malattie
cardiovascolari e una più alta mortalità da queste patologie della popolazione
generale. Si ignorano i meccanismi responsabili di questa differenza, ma
basandosi su numerosi rilievi di accresciuto o ridotto flusso ematico cerebrale
in diverse regioni encefaliche nei pazienti schizofrenici, si è ipotizzata
un’alterata autoregolazione quale responsabile del dato epidemiologico
sfavorevole”[4].
Più avanti si legge:
“Recentemente, a proposito dell’attuale concezione dell’ipotesi dopaminergica della schizofrenia, in un articolo di recensione che si consiglia di leggere integralmente, Ludovica R. Poggi così si è espressa: “L’ipotesi patogenetica che spiega la fenomenologia clinica in relazione alle alterazioni dei sistemi dopaminergici cerebrali, pur discostandosi dall’assunto di fondo di una responsabilità causale ed esclusiva delle alterazioni della segnalazione legata alla dopamina postulata dalla vecchia teoria dopaminergica della schizofrenia, pone in relazione le manifestazioni patologiche con l’eccesso funzionale legato alla catecolamina nello striato e con il suo difetto nella corteccia cerebrale”[5]. Poi, più avanti, in riferimento alla visione dominante negli ultimi decenni:
“La tesi secondo cui un disturbo mentale così pervasivo come la schizofrenia potesse essere attribuito all’alterazione del solo sistema neurotrasmissivo della dopamina non aveva i crismi della teorica scientifica, e tale debolezza era evidente già quarant’anni fa, quando fu formulata, a chiunque avesse una conoscenza non superficiale della neurobiologia. Come è stato tante volte sottolineato dal nostro presidente, la pluralità, la diversificazione e l’apparente ridondanza in un apparato come il sistema nervoso centrale umano, che conta 5 diverse vie per la trasmissione del dolore, 32 aree corticali per l’elaborazione delle immagini visive e almeno 52 distinti neurotrasmettitori, sono espressione di un principio organizzativo che costituisce tanto la chiave per la comprensione in termini evoluzionistici della fisiologia del cervello, quanto la ragione dell’affermarsi della nostra specie nel corso della filogenesi. La cosiddetta ipotesi dopaminergica della patogenesi della schizofrenia e delle psicosi assimilabili o correlate, era di fatto una costruzione ad hoc derivata dall’efficacia empirica degli antagonisti recettoriali della dopamina e, nei decenni successivi, era stata giustificata sulla base di tre osservazioni: 1) tutti i farmaci antipsicotici allora in uso[6] avevano un meccanismo d’azione comune costituito dalla competizione recettoriale con la dopamina ed altri agonisti selettivi; 2) la somministrazione di elevate dosi di levodopa, attraverso l’iperattivazione dei circuiti dopaminergici, può provocare lo sviluppo di sindromi caratterizzate da deliri ed allucinazioni; 3) la somministrazione di farmaci stimolanti la liberazione di dopamina dai terminali delle sinapsi centrali può causare una manifestazione psicopatologica simile alla schizofrenia.
L’attuale concezione delle psicosi schizofreniche, quali disturbi mentali altamente ereditabili con una genetica complessa e caratterizzata da molti geni con effetti singoli limitati ma interagenti a formare il fenotipo, rende assolutamente improbabile che l’alterazione di un singolo sistema di segnalazione possa essere all’origine di una compromissione fisiopatologica tanto estesa e composita quanto quella documentata dalla ricerca più recente. D’altra parte, evidenze emergenti da studi post mortem, riportate ai dati costantemente afferenti dalla ricerca genetica, mostrano la compromissione di vari sistemi neuronici.
Lo studio di campioni autoptici di tessuto nervoso proveniente dal cervello di pazienti è divenuto molto più efficace con l’introduzione dei nuovi metodi di analisi del DNA (microarray analyses), capaci di misurare migliaia di trascritti. Anche la specificità cellulare è altamente cresciuta grazie alla tecnica dell’analisi della singola cellula mediante cattura laser e all’ibridizzazione in situ. L’estesa gamma di anticorpi contro specifiche proteine fa bene sperare per le strategie proteomiche di misura dei polipeptidi e delle loro modificazioni post-traduzione, quali la glicosilazione e la fosforilazione. Infine, i metodi informatici possono identificare inter-relazioni fra proteine e famiglie di proteine implicate in comuni ruoli strutturali o funzionali. Tali analisi sono facilitate da un freeware come “Expression Analysis Systemic Explorer” (EASE), disponibile attraverso la banca dati dei National Institutes of Health (NIH) nota con l’acronimo DAVID (Database for Annotation, Visualization and Integrated Discovery). Questa strategia di studio aiuta nel trovare collegamenti fra anomalie apparentemente isolate di geni o dell’espressione di proteine implicate in funzioni correlate come la mielinizzazione o il metabolismo ossidativo mitocondriale”[7].
Come si accennava prima, le alterazioni della glia sono un argomento di attualità nella ricerca sulla schizofrenia. Le alterazioni della mielina dell’encefalo, con riduzione della sostanza bianca totale del cervello, riduzione del rivestimento assonico o dell’integrità della guaina, sono state documentate con varie tecniche. Vari studi hanno rilevato la riduzione di proteine associate agli oligodendrociti e alla mielinizzazione, fra queste: MAG, MAL, il recettore della neuregulina ErbB3 e la transferrina. I geni che codificano queste proteine sono siti presso loci del genoma umano associati al rischio ereditabile di schizofrenia. È di notevole rilievo che alcuni studi post mortem sulla corteccia hanno accertato la downregulation di alcuni di questi geni anche in persone affette da psicosi bipolare. Su questa base si è ipotizzato che le alterazioni della mielina possano essere responsabili dei tratti psicotici comuni (deliri, allucinazioni) ai due quadri clinici.
Nella parte anteriore della
corteccia del giro del cingolo degli schizofrenici è stata riscontrata una
significativa riduzione di astrociti[8].
Le cellule dell’astroglia, si ricorda, giocano un ruolo critico nella
regolazione della disponibilità sinaptica dei co-agonisti recettoriali NMDA
glicina, D-serina e glutammato”[9].
Dopo questa introduzione,
ritorniamo allo studio di Greene e colleghi.
I ricercatori hanno preso le
mosse dallo studio genetico di persone affette da sindrome da delezione 22q11 (22q11 DS) ed hanno dimostrato che una
variante del gene di claudin-5 è debolmente associata con la schizofrenia e
comporta una riduzione dell’espressione di claudin-5 nelle cellule endoteliali
del 75%. La sperimentazione ha poi evidenziato che la soppressione mirata
mediante virus adeno-associati di claudin-5 nel cervello di topo causa
interruzioni localizzate della BEE e modificazioni comportamentali negli
animali.
Impiegando un modello murino knockdown inducibile, Greene e colleghi hanno
potuto riscontrare ulteriori associazioni con la psicosi, attraverso un
distinto fenotipo comportamentale che presentava deficit della memoria e
dell’apprendimento, un comportamento simil-ansioso e alterazioni senso-motorie.
Tali animali andavano poi incontro allo sviluppo di convulsioni e morivano a 3-4
settimane di distanza dalla soppressione di claudin-5. Un quadro, questo, che
rende con grande evidenza nei roditori l’importanza di questa molecola per la
normale funzionalità del sistema nervoso.
La valutazione farmacogenetica
degli effetti dei farmaci antipsicotici sull’espressione di claudin-5 ha
mostrato, sia in vivo che in vitro, l’aumento dose-dipendente dell’espressione della proteina.
Lo studio post-mortem del cervello di pazienti in
vita diagnosticati di schizofrenia ha evidenziato, rispetto ai controlli non
affetti da disturbi psichiatrici o malattie neurologiche di età corrispondente,
espressione aberrante e discontinua di claudin-5.
Tutti questi risultati, nel
loro insieme, suggeriscono che perdite di integrità strutturale della BEE
possono costituire un fattore in grado di modificare lo sviluppo del disturbo
schizofrenico, e che farmaci agenti direttamente sulla BEE possono offrire
nuove possibilità di trattamento, magari consentendo di integrare gli attuali
mezzi terapeutici di scelta.
Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura
delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Una stima dell’1% per la popolazione mondiale era stata già dedotta in passato: Cfr. Lewis D. A. & Lieberman J. A., Catching up on schizophrenia: Natural history and neurobiology. Neuron 28, 325-334, 2002.
[2] Nei testi italiani è indicata come “claudina 5”; qui si è scelto di conservare la denominazione inglese, più familiare ai ricercatori.
[3] Si veda nelle “Notule” di questa settimana: “Difetti microstrutturali della sostanza bianca nella sindrome da delezione 22q11.2 associata a psicosi”.
[4] Note e Notizie 28-01-17 Nella schizofrenia è alterata la regolazione del flusso ematico cerebrale.
[5] Note e Notizie 10-12-17 Nuovo farmaco per la schizofrenia con una proprietà unica.
[6] Fenotiazinici [distinti in alifatici, come la clorpromazina (Largactil), il primo antipsicotico introdotto da H. Laborit e coll., piperidinici e piperazinici], Tioxantenici, Butirrofenonici [aloperidolo (Serenase)], Difenilbutilpiperidinici [pimozide (Orap)], Dibenzossazepine (loxapina), Dibenzodiazepine (clozapina), Diidroindolici, Benzamidi, Tiazine, Acridanici.
[7] Note e Notizie 10-12-16 Nuovo farmaco per la schizofrenia con una proprietà unica.
[8] Bernstein H. G., et
al., Expert Review of Neurotherapeutics 9, 1059-1071, 2009.
[9] Note e Notizie 28-01-17 Nella schizofrenia è alterata la regolazione del flusso ematico cerebrale.